il nostro blog
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26-05-2020
Uno sguardo sull’eroe tragico della serie tv. Di Cristina Borsatti.
Il personaggio televisivo non è mai stato così complesso. La serialità contemporanea somiglia sempre più ad un film a puntate e ha compreso che, avendo molto tempo a disposizione, può lavorare sui personaggi in maniera cinematografica, complicandoli e trasformandoli.
Ci sono ancora eroi tutti d’un pezzo, valorosi e tradizionali, dunque capaci di portare sullo schermo i valori positivi del dramma. Ma la vera novità sono eroi che hanno ben altra natura: contraddittori, mal tarati, fragili. Tragici.
E non stiamo parlando di Jack Bauer (24), agente dai metodi poco ortodossi, di Gregory House (Dr. House), medico anticonvenzionale e dipendente da narcotici, di Don Draper (Mad Men), una maschera di eleganti menzogne. Gli antieroi si muovono al limite della legalità, hanno una morale discutibile ma anche un fine che ne giustifica i mezzi.
La tragicità è altra cosa. La follia è tragica, produce pietà in chi la osserva. I gangster sono tragici, perché sappiamo tutti che l’educazione è un’eredità ingombrante. L’eroe tragico ha un destino tragico, è senza scrupoli, eppure in grado di farsi amare.
Da I Soprano a Killing Eve, i cattivi seriali sono la vera sorpresa della tv contemporanea. Per riassumerli, vi proponiamo 4 esempi.
Scisso tra crisi personali, terapia (e pallottole) e una violenza inaccettabile, Tony Soprano (James Gandolfini) è stato il "padrino" delle "serie" tv. Ci ha mostrato il lato familiare della malavita, la vulnerabilità di "quei bravi ragazzi" che sembrano "intoccabili" e invece sono umanissimi, e hanno i dubbi e le debolezze dell’americano medio contemporaneo.
Quasi sempre il folle è un antagonista, ma provate a offrirgli una buona motivazione e un codice di comportamento come avviene nella serie Dexter. Un trauma incancellabile e capacità straordinarie non sarebbero bastate. Quella di Dexter Morgan (Michael C. Hall) resta una moralità relativa, visto che uccide oltre 130 persone in otto stagioni. Ma la "serie" raggiunge un obiettivo all’apparenza impossibile: trasformare un serial killer in protagonista.
Walter White (Bryan Cranston) è un professore di chimica pronto a trasformarsi in uno spietato produttore e spacciatore di metanfetamina. Breaking Bad è ad oggi la massima espressione del caos in cui la tv ha gettato i personaggi, un vero e proprio punto di non ritorno. Il titolo rimanda ad un’espressione idiomatica che si riferisce a chi sta perdendo la retta via, la ragione. La "serie" ha diviso il pubblico, ma ha anche mostrato quanto la serialità abbia voglia di rischiare, tentando strade fino ad ora mai battute. All’apice della sua trasformazione, Walter White perde la nostra empatia e non c’è nessun altro personaggio con cui allinearsi. Ciò che affascina lo spettatore non è più il personaggio, piuttosto sono i meccanismi del racconto e i suoi stessi autori.
Per inciso, è curioso notare la quasi totale assenza di donne nel panorama degli eroi tragici televisivi contemporanei, almeno fino all’avvento di Killing Eve. Oxana Astankova, soprannominata Villanelle (Jodie Comer), è una brutale assassina. Annoiata, spietata, sadica e amorale. È lei l’eroina tragica di questo primo quarto di millennio, finalmente, alla faccia dello spirito materno. La showrunner Phoebe Waller-Bridge, partendo dalle novelle di Luke Jennings, dà vita ad un personaggio senza scrupoli, ma anche glamour, malinconico, esilarante, empatico.
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