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Cinema Internazionale: alla scoperta dei Maestri del Cinema Asiatico

11-10-2024

Il cinema asiatico non ha mai smesso di sorprendere.

Sono passati oltre settant’anni da quando Akira Kurosawa vinse il Leone d’oro a Venezia con Rashomon, da allora il cinema asiatico non ha mai smesso di sorprendere anche questa nostra parte di mondo, che in più occasioni lo ha osannato, premiandolo con i premi più prestigiosi. Il cinema asiatico è un cinema che ne contiene tanti, quanto i Paesi che lo compongono, dalla Cina alle Filippine, dalla Corea del Sud al Giappone da Taiwan alla Thailandia. Ed è un cinema d’autore, di cineasti che ne hanno fatto la storia. Andiamo dunque alla scoperta dei principali Maestri del cinema asiatico.

KENJI MIZOGUCHI (GIAPPONE, 1998/1956)

Mizoguchi ha avuto il merito di rendere celebre il cinema giapponese agli occhi del mondo. Nel corso degli anni ‘50 del Novecento, ha diretto alcuni dei più celebri film giapponesi di sempre, come La vita di O-Haru - Donna galante e I racconti della luna pallida d’agosto. Il suo inimitabile cinema mescola una personale ricerca formale ad una sensibilità realistica, la sua macchina da presa ha avuto il merito di rivolgersi spesso al ruolo della donna nella società e nella cultura giapponese.

YASUJIRŌ OZU (GIAPPONE, 1903/1963)

Esponente del cinema realista giapponese, Yasujirō Ozu ha realizzato drammi e commedie dalle trame minimaliste, popolate da persone comuni, perlopiù piccolo borghesi, e ha saputo ibridare modernità e tradizione. Viaggio a Tokio del 1953 è considerato il suo capolavoro, ma è solo dopo gli anni Sessanta che Ozu viene accolto in Occidente, grazie alla distribuzione internazionale. Ha detto bene il grande critico statunitense Roger Ebert: “Amare i film senza amare Yasujirō Ozu è impossibile”.

AKIRA KUROSAWA (GIAPPONE, 1910/1998)

Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1951, Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1980, Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia nel 1982 e Oscar alla carriera nel 1990. Quando si pensa ad Akira Kurosawa la mente vola a Rashomon e a I sette samurai, ma è stato regista di una filmografia ricchissima, ed è stato anche sceneggiatore, montatore, produttore, attore e scrittore, non a caso è considerato uno dei maggiori cineasti dell’intera storia del cinema. L’imperatore del cinema giapponese è stato anche un ardito sperimentatore, sorretto e influenzato da un gran numero di fonti: dal teatro tradizionale giapponese Nô e Kabuki a quello shakespeariano, dalla letteratura russa a quella statunitense, fino all’epica delle saghe dei samurai.

SATYAJIT RAY (INDIA, 1921/1992)

Nel 1956, il suo Il lamento sul sentiero arriva al Festival di Cannes, facendo così scoprire la cinematografia indiana in Occidente. Nato a Calcutta, Satyajit Ray si ispira al neorealismo italiano e al cinema di Jean Renoir, lavorando spesso con una fotografia in bianco e nero e con attori di strada, dando comunque sempre molta importanza al lato estetico ed espressivo. Grazie al suo cinema realista, sempre infuso di humour, un cinema che è stato ritratto della sua epoca, Ray ha ottenuto un successo internazionale culminato con il Leone d'oro alla carriera e il Premio Oscar alla carriera alla 64ª edizione della cerimonia di premiazione degli Oscar.

HAYAO MIYAZAKI (GIAPPONE, 1941)

Da sempre appassionato disegnatore, conquistato dalla scoperta dei manga e degli anime, Hayao Miyazaki dirige il suo primo lungometraggio, Lupin III – Il Castello di Cagliostro, dopo aver riscosso grande successo con la serie animata Conan il ragazzo del futuro. Nel 1985, fonda assieme al collega e mentore Isao Takahata lo Studio Ghibli, ad oggi una delle case di produzione di film d’animazione di maggior successo al mondo, grazie alla quale comincia a realizzare i suoi capolavori. La fama internazionale arriva con La città incantata, capace di aggiudicarsi un Oscar, non sono da meno La Principessa Mononoke, Il castello errante di Howl, Ponyo sulla scogliera. Premiato dai maggiori festival, Miyazaki, quanto a cinema animato, ha compiuto un miracolo: tenere testa a Walt Disney.

JOHN WOO (HONG KONG, 1946)

Regista amatissimo da Hollywood, dove si è trasferito dopo l’infilata di successi ottenuti con A Better Tomorrow, The Killer, Bullet in the Head e Hard Boiled. In America, John Woo si muove sul terreno dell’action movie sfornando diversi film diventati di culto, da Nome in codice: Broken Arrow a Face Off e Mission: Impossible 2. Tornato in Cina, libero da dinamiche strettamente mainstream, realizza La battaglia dei tre regni – Red Cliff, un po’ un tornare alle origini, e comincia aa produrre registi esordienti, portando ad esempio al Festival di Venezia Blood Brothers di Alexi Tan.

TAKESHI KITANO (GIAPPONE, 1947)

Noto anche con lo pseudonimo di Beat Takeshi, Kitano è stato tante cose, compreso conduttore e comico. Spesso interprete dei suoi film, Kitano è considerato uno dei massimi esponenti tutt’ora viventi del cinema orientale. La sua fama mondiale si deve a Sonatine, pellicola presentata a Cannes, la svolta definitiva ad Hana-bi – Fiori di fuoco, vincitore del Leone a Venezia e consacrazione per l’autore. La violenza e l’amore, temi cari a Kitano, sino a L’estate di Kikujiro, film dedicato a suo padre, sorta di road movie che è una fuga dal mondo ma anche una storia di redenzione. Brother, Dolls, Zatōichi, che lo vede nelle vesti di protagonista. Successi di sala che hanno avuto riconoscimenti importanti nei featival più acclamati.

ZHANG YIMOU (CINA, 1950)

Il regista di Lanterne rosse, dopo una prima parte di carriera dedicata alla recitazione e alla fotografia, dirige il suo primo film nel 1987 (Sorgo rosso), pellicola che lo catapulta nell’Olimpo della cinematografia mondiale. Una svolta neorealista arriva con La storia di Qiu Ju, in cui il regista cinese dirige attori non professionisti e ottiene un Leone d’Oro a Venezia. La sua ascesa internazionale continua con La strada verso casa. È il 1999, gli attori sono ancora dei non professionisti e il racconto, romantico e in flashback, ruota attorno alla storia d’amore dei suoi genitori. La sua carriera prosegue all’insegna degli wuxia con Hero, seguito a distanza da La foresta dei pugnali volanti, grandi successi di pubblico e critica che ne decretano la fama internazionale.

TSUI HARK (HONG KONG, 1950)

Lo Spielberg di Hong Kong, così è conosciuto Tsui Hark, è considerato uno dei maggiori innovatori del cinema di Hong Kong tra gli anni Ottanta e Novanta. Straordinariamente eclettico, ha spaziato dall’action al drammatico, dal racconto in costume fino all’horror e al fantasy. Nome di punta della New Wave hongkonghese, Tsui Hark si fa conoscere anche da noi con Once Upon a Time in China, ispirato alla vita del medico e maestro di arti marziali Wong Fei Hung, vissuto alla fine dell'Ottocento, tra criminalità diffusa e colonialisti inglesi. Tra commercio e meraviglia, realizza il fantasy Green Snake, la commedia brillante All About Women e il visionario e misterioso Missing.

WONG KAR WAI (CINA, 1958)

Con la sua opera, ha messo in scena il fluire del tempo, facendolo scorrere quasi in modo impercettibile. Tra i suoi capolavori figurano Happy Together, in cui Wong Kar-Way affronta il tema della passione ma anche dell’esilio, e In the Mood for Love, in cui racconta il destino di due amanti alle prese con una passione incompiuta.

Solo sette film, perlopiù realizzati negli anni Novanta, per un regista di culto per le nuove generazioni. Le sue sono storie di solitudini urbane, di uomini e donne perduti nei labirinti delle metropoli, ma ogni visione è un’esperienza, che fa di uno stile esteticizzante il suo punto di forza.

KIM KI-DUK (COREA DEL SUD, 1960/2020)

Quelle raccontate dal coreano Kim Ki-Duc sono storie estreme, dolcissime al medesimo tempo, sin dall’esordio Coccodrillo, film che racconta la storia di un uomo che vive aspettando sotto il ponte di un fiume i suicidi per poter sottrarre poi ai cadaveri i loro averi. La distribuzione internazionale arriva con Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, capace di ottenere notevoli risultati al botteghino.

Amatissimo dai festival, porta a Berlino La samaritana, a Venezia Ferro 3 - La casa vuota, a Cannes L’arco. Premiato ogni volta, inconfondibile nello stile, ci ha lasciato prematuramente, a causa di complicazioni causate da Covid-19 nel 2020.

PARK CHAN-WOOK (COREA DEL SUD, 1963)

Tra i cineasti più influenti del cinema coreano figura Park Chan-Wook, la cui fama è associata alla trilogia della vendetta: Mr. Vendetta, Old Boy, Lady Vendetta. La quasi totalità della sua opera è permeata da un velo di ironia, che esplode in modo poetica in I’m a Cyborg, but that’s ok, in cui cambia rotta per catapultarsi in un’immersione profonda nell’animo umano. Nel suo cinema, l’orrore è contenuto all’interno di un sottotesto ironico in cui l’eccesso, l’iperbole ha sempre il sapore della denuncia espressa attraverso la potenza delle immagini.

BONG JOON-HO (COREA DEL SUD, 1969)

Tematiche sociali e ibridazione di generi. Attualmente, Bong Joon-Ho, è considerato una promessa vinta del cinema coreano, soprattutto dopo l’Oscar ottenuto con Parasite. Prima, non sono mancati i successi: da Memories of Murder al poliziesco Cognac, dal monster movie The Host al debutto cinematografico in lingua inglese Snowpiercer.

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