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20-01-2020
Il piano sequenza ha regalato film e sequenze indimenticabili.
In opposizione alla pratica del montaggio, vi sono stati autori che hanno teorizzato l’idea di un cinema che non spezzasse il flusso vitale della realtà, attraverso l’uso di inquadrature lunghe e di stacchi ridotti al minimo (da Eric Von Stroheim a Friedrich W. Murnau, da Robert Flaherty a Jean Renoir, da Orson Welles a William Wyler).
Il cinema del piano-sequenza non vuole frammentare la realtà rappresentata in una serie di inquadrature distinte, bensì tende alla continuità ininterrotta dell’azione. L’effetto visivamente è conturbante, forse per questo molti registi inseriscono, anche senza un particolare motivo, piani sequenza all’interno delle loro pellicole. Una pratica rischiosa, visto che tutto deve essere preparato con precisione e in anticipo. Anche e solo un piccolo errore impone di dover girare nuovamente l’intero piano sequenza.
Spesso utilizzato con l’intento di sperimentare, il piano sequenza ha regalato film e sequenze indimenticabili. Ecco sei esempi da antologia.
Un piano-sequenza portato all’estremo quello firmato da Alfred Hitchcock nel 1948. Un film (apparentemente) senza stacchi, che in realtà è costituito da una decina di piani-sequenza giustapposti tra loro, attraverso sapienti processi di mascheramento degli stacchi su nero. Nella realtà dei fatti, il regista ha potuto girare senza stacchi soltanto entro i limiti della durata di una bobina di 300 metri di pellicola, esattamente 11 minuti. In ogni caso, l’effetto è sorprendente.
Una bomba è piazzata da un anonimo dentro un’automobile. 3 minuti e 34 secondi in piano sequenza, accompagnati da un ticchettio insistente. La bomba esploderà solo dopo il primo stacco… Nel 1958, Orson Welles realizza un’apertura in piano sequenza che è rimasta nella storia. Orologi sincronizzati quelli di pubblico e personaggi in scena e una partenza al fulmicotone.
Il piano sequenza iniziale di questo capolavoro del 1992 di Robert Altman dura ben nove minuti e mezzo, durante i quali si discute di celebri piani sequenza, di cinema e di produzione. Un incipit satirico e meta-cinematografico che riesce a regalare allo spettatore anche una buona dose di suspense.
Ancora un piano sequenza in apertura. Nel 1998, Brian De Palma utilizza la steady-cam per seguire Rick Santoro (Nicolas Cage) mentre si aggira dietro le quinte di un casinò e mentre assiste ad un incontro di box. Oltre dodici minuti di piano sequenza, o meglio un finto piano sequenza, in cui i raccordi sono invisibili.
Nel 2002, Aleksandr Sokurov porta in scena un viaggio a senso unico, un piano sequenza volto a descrivere l'identità di una nazione. Un’opera, che a differenza di molte altre, è riuscita nell’arduo compito di effettuare un unico piano sequenza, della durata di 90 minuti, senza tagli di montaggio in post-produzione. Aleksandr Sokurov fu costretto a ripetere per ben quattro volte l’operazione.
Ancora una volta, l’impressione è di assistere a due ore in piano sequenza. È il 2014 e Alejandro González Iñárritu fonde tra loro numerosi piani sequenza (di oltre dieci minuti l’uno), ottenendo un effetto estremamente realistico. Il regista ha dichiarato di aver voluto dare allo spettatore l’impressione di una "realtà da cui non si può sfuggire". Come nella vita reale, dove non abbiamo il privilegio del montaggio.
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