il nostro blog
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22-03-2021
Il cinema horror italiano ha ispirato i più grandi registi della paura a livello mondiale.
Dai maestri che hanno fatto scuola (Mario Bava, Lucio Fulci e Dario Argento) ad un presente in cui il genere sta rialzando la testa. Sempre capace di suscitare grande interesse all’estero, il cinema horror italiano - barocco, morboso, voyeurista e necrofilo - è stato in grado di ispirare i più grandi registi della paura a livello mondiale.
Non facile stilare un elenco dei 10 migliori film horror italiani, ma i must che vi proponiamo raccontano il percorso di un genere di cui siamo ancora maestri.
Prima vera e propria pellicola di gotico italiano, pietra miliare dal budget minuscolo, fotografata da Mario Bava (di fatto, co-regista non accreditato).
A Parigi, il ritrovamento di una serie di donne dissanguate fa gridare al vampiro, ma la realtà è ben diversa e il gotico lascia posto ad un esperimento medico criminale dai risvolti fantascientifici. C’è già tutto il cinema di Bava: l’inquietudine non sfocia mai nella paura e la malvagità è nella natura umana.
Il più grande di tutti. Mario Bava ridefinisce il genere, all’italiana, prediligendo la tensione e il non detto.
Siamo nei primi dell’Ottocento. Due medici in viaggio verso Mosca, si imbattono in una chiesa abbandonata e in una strega impietrita e desiderosa di vendetta…
Barbara Steele, una volta risorta, evoca il suo antico amante, che esce dalla tomba come una specie di Frankenstein e li vampirizza tutti. Gli effetti speciali risentono di un budget limitatissimo, ma Bava risolve la questione grazie al puro artigianato e alle atmosfere di cui ancora ci si meraviglia.
Diretto da Mario Bava con lo pseudonimo di John Old e distribuito all’estero con il titolo Black Sabbath (da qui il nome della band guidata da Ozzy Osbourne).
Film ad episodi che li ha ispirati tutti; da Tim Burton a Martin Scorsese, da Mel Brooks a Quentin Tarantino.
Tre racconti del terrore presentati da Boris Karloff e ispirate alla letteratura horror di Snyder, Tolstoj e Cechov.
Luci, colori, carrellate e trucchi, e un finale che anticipa il metacinema contemporaneo, inquadrando il set e svelandone i trucchi.
Il vecchio mondo contadino contro quello moderno. Per la prima volta il sud, con riprese effettuate tra Puglia, Abruzzo e Basilicata. Al suo terzo thriller, Lucio Fulci vira verso l’horror, partendo da un terribile fatto di cronaca nera: la cosiddetta "strage degli innocenti" avvenuta a Bitonto.
La sequenza iniziale con Florinda Bolkan che scava a mani nude nella terra per diseppellire un neonato è un'apertura che mette i brividi. C’è il sol, manca l’elemento soprannaturale, ma questo è un horror in piena regola, per di più dai risvolti sociali.
Il film culto del maestro dell’orrore, sulle note dei Goblin e pronto ad inaugurare una trilogia (Profondo Rosso, Suspiria e Inferno).
Un gioco di specchi che mostra il volto dell’assassino a pochi minuti dall’inizio del film, violando la prima regola della suspense. Lo spettatore, assieme a Marcus Daly, sa di aver visto l’omicida, eppure non riesce a ricordarlo. E mentre ci invita a trovare l’assassino, Dario Argento ci terrorizza, giocando con il nostro sguardo e con tutti i topoi del genere.
In un paesino padano, Stefano è un restauratore alle prese con l’affresco di una chiesa dipinto da un certo Buono Legnani. Un dipinto straordinariamente realistico che nasconde un agghiacciante segreto…
Da uno spunto di cronaca al thriller all’italiana, per ricordarci che l’orrore è tra noi, nelle pieghe della realtà quotidiana. Alcune scene sono davvero terrificanti e l’aria è morbosa e malsana, impregnata di stregoneria e campagna, di cattolicesimo e di provincia nostrana.
Considerato il film più violento e controverso dell’intera storia del cinema, questo snuff movie brulica di impressionante realismo.
Il professor Monroe si reca in Amazzonia per seguire le tracce di quattro giovani reporter incaricati a girare un documentario sulle tribù della zona che praticano il cannibalismo. Non ci sono loro notizie da mesi, ma sul posto l’uomo rinviene il materiale che hanno girato…
Un vero e proprio infermo girato in 16 e 35 millimetri: inquietante, splatter, estremo.
Ancora creature cannibali, ma questa volta in una placida isoletta della Grecia. Joe D’Amato (o, meglio, Aristide Massaccesi) inaugura il filone delle vacanze terribili e delle tranquille location da incubo.
Il ricco proprietario dell’isola non è ciò che sembra, è diventato un orrendo cannibale dopo essere scampato ad un naufragio e sopravvissuto alla fame mangiandosi la famiglia.
Le soggettive sono magistrali e a volte le attese sono così’ angoscianti da risultare insopportabili.
Visionando i filmati recuperati da una videocamera legata a una volpe, l’etologo Marco Contrada trova strani ruderi tra i boschi del Friuli, al confine con la Slovenia. Incuriosito, li raggiunge, ma a causa di un temporale è costretto a trattenersi in quello che sembra un paesino abbandonato…
Il friulano Lorenzo Bianchini, partendo da un budget ridottissimo, scava nelle nostre paure più profonde. La natura è ostile e non c’è nulla di rassicurante in questo strepitoso one-man show in cui è il fuori campo a fare davvero paura.
Pupi Avati torna a misurarsi con l’horror e con la superstiziosa provincia italiana.
Siamo nel 1952 e in un paesino padano credo e credenza sono la medesima cosa. La società rurale può essere spietata con le sue sagrestie e le sue ostie consacrate. A causa di un crimine, qualcuno dalla città viene chiamato a fare chiarezza e i riferimenti al precedente La casa dalle finestre che ridono sono più di un semplice richiamo. L’esoterismo di matrice contadina fa ancora paura, soprattutto se a filmarlo è Pupi Avati.
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