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Intervista al regista Tommaso Barba

27-05-2024

Intervista di Cristina Borsatti al regista Tommaso Barba, ex allievo Griffith.

Classe 2002, Tommaso Barba, dopo essersi diplomato in Regia e Sceneggiatura all’Accademia di Cinema e Televisione Griffith non si è fermato un attimo e capacità e passione stanno già dando i loro risultati.

Con il cortometraggio Toska si è portato a casa 57 premi, al momento. Sta chiudendo un’ideale trilogia con il corto Camilla, ma la sua testa è già altrove e i suoi progetti davvero tanti.

L’abbiamo incontrato per saperne di più. Ma è dai tempi dell’Accademia che sapevamo che di cinema e di televisione Tommaso avrebbe vissuto.

Partiamo dai premi: 57! Come hai fatto?

Ho cercato di distribuire Toska in modo tradizionale, ma bisognava fare un investimento immane, ad alcuni non interessava, altri avevano i cataloghi pieni, quindi l’auto-distribuzione è stata una scelta obbligata. Comunque, dai distributori ho ricevuto consigli preziosi. All’inizio non è stato facile, su dieci festival a cui mandi il tuo corto, se te lo prende uno è tanto. Poi Toska ha cominciato a vincere premi e a quel punto sono i festival a contattarti, vogliono saperne di più, vedere se c’è qualità.

Secondo te cos’ha di speciale Toska?

È andata così per una convergenza di cose. Va detto che è un corto sulle persone, sulle emozioni, e dunque porta qualcuno a legarsi. Credo ci sia anche qualità. Con i miei ex compagni di corso della Griffith Jacopo Fogolari, mio aiuto regista, e Valerio Baldari, direttore della fotografia, abbiamo lavorato molto sull’immagine, cercando attraverso la messa in scena un’emotività che ti porta dentro dinamiche e personaggi. Tra le ragioni, forse, anche i temi dalla portata universale e molto attuali, siamo in un post-pandemia in cui si sente ancora molto il bisogno di un contatto, di andare oltre, come fanno i due personaggi protagonisti, accettando la fine della loro relazione.

Che cosa ti sta portando questa esperienza?

Gloria, qualche soldino qua e là e tanti contatti. È stata un’esperienza molto stimolante, ma ora ce ne vuole un altro, forse un altro ancora prima di fare il salto, ma anche per proseguire questo mio discorso libero, per certi versi autoriale.

Camilla è quasi pronto, giusto?

Ci siamo quasi. Il cortometraggio Camilla chiude una sorta di trilogia, dopo Dall’altro lato e Toska. Sento di essere cresciuto molto. Con il primo, L’altro lato, che ora è su Youtube ho cannato la distribuzione completamente, anche se ha vinto un paio di premi, a Londra, ad esempio, ad un festival incentrato sulla pandemia. Sono molto legato a questo lavoro, ma con Toska ho fatto un salto e con Camilla ne ho fatti due, grazie ad una sorprendente troupe di 15 persone e ad un budget raccolto grazie ad un crowdfunding.

Al terzo lavoro lo possiamo dire, la tua mano si sente, anche e soprattutto per i temi affrontati: l’incomunicabilità, la ricerca di contatto, il ricordo, la solitudine…

Ho capito molto di ciò che mi preme raccontare. Quando in Accademia studiavamo con te l’importanza del tema mi è sempre risultato difficile… perché avevi ragione, spesso ci si arriva dopo… ma quando si comprende cosa si sta raccontando tutto si rivela. Con Camilla ad esempio sono partito da una tagline: l’amore non salva le persone. Poi mi sono chiesto perché e cosa può non essere salvato dall’amore e sono arrivato alla tossicodipendenza, un tema importante. Da qui, ad una riflessione che sta alla base del corto: se tu non vuoi essere salvato, il cambiamento non c’è e non puoi salvare l’altro fino a morirne. Nella storia di Giuliano e Camilla, Giuliano impara ad amare se stesso andando oltre Camilla, superando il passato e il senso di colpa. Il superamento e la ricerca di amore sono stati i temi che mi hanno guidato in questo viaggio.

Plot of the mind, come dicono gli americani. Nei tuoi lavori, è evidente il tuo interesse per i personaggi…

Sì, ho compreso che mi interessano le storie di personaggi. Al cinema, ma anche a teatro, dove grazie ad alcuni fortunati incontri sto portando uno spettacolo incentrato su tre personaggi maschili, adattamento di Art, commedia teatrale scritta alla fine degli anni ottanta da Yasmina Reza.

Sarai a teatro a settembre. Cosa ti sta regalando la regia teatrale?

Ammetto che il teatro è più bello, più semplice a livello registico, perché c’è un’unica inquadratura, ma stai molto più a contatto con gli attori. Mi è piaciuto molto scrivere anche con il testo, che ho adattato assieme ad Alessandro Bertosa. Una riscrittura che ci ha portato a lavorare molto sui dialoghi, a giocare moltissimo con le semine e le raccolte, di cui ho compreso la straordinaria importanza. Mi piacerebbe continuare. Intanto porteremo questo spettacolo a Formello a fine settembre, poi grazie all’auto-distribuzione speriamo di arrivare anche nella capitale.

Quanto contano le persone, il gruppo di lavoro?

Le persone fanno la differenza. Nei mie primi due corti più o meno ho lavorato con le stesse persone, con Camilla le cose sono un po’ cambiate, perché Valerio e Iacopo hanno cominciato a lavorare, ma spero che ci siano in futuro altre occasioni per collaborare con loro. L’accademia Griffith è stata ancora una volta essenziale, mi ha aiutato molto e mi ha messo in contato con professionisti di altri anni di corso, come Siria Ostini, grandissima segretaria di edizione, Martina Strologo, al reparto fotografia, Michele Marchionne, essenziale in produzione distribuzione, Aurora Bau', Swami Thomas e molti altri. Valentina Ramaglia, vicedirettore della Griffith, mi è stata molto dietro, mi ha dato le attrezzature e ha co-prodotto il corto. Eravamo in 15 sul set questa volta, ognuno ha portato il proprio vissuto, la propria sensibilità e il lavoro di squadra è stato essenziale.

Hai già qualche idea per il salto nel lungometraggio?

Tantissime idee per film e serie. Sempre storie incentrate sui personaggi. Sto lavorando su un lungo super low budget: una location, dieci personaggi. Voglio capire i costi e presentare un pacchetto che include la fattibilità. Magari intanto arriva il produttore giusto. Il problema resta l’auto-distribuzione, il corto vive e muore di festival sfortunatamente, con lungo non bastano. Sono ottimista. L’importante è continuare a raccontare e a raccontare bene.

 

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