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21-07-2020
Il cinema ci ha regalato grandi esempi di montaggio parallelo.
Che cos'è il montaggio parallelo? Per cominciare, vale la pena ricordare Lev Vladimirovič Kulešov, regista considerato uno dei pionieri della scuola sovietica del montaggio. Siamo nell’Unione Sovietica degli anni Venti, per dimostrare il grande valore del montaggio in un film, Kulešov diede vita ad un famoso esperimento. Il regista prese il primo piano del volto di un noto attore dell’epoca (Ivan Mozžuchin) e lo accostò a diverse inquadrature: una bambina all’interno di una bara, un tavolo su cui era posto un piatto di minestra e, infine, una donna seducente. Sebbene l’espressione dell’attore fosse la stessa, essa sembrava assumere connotazioni diverse. Quel volto appariva triste, affamato, attratto.
Il senso complessivo di un’immagine dipende da ciò che la precede e ciò che la segue, questa la grande lezione del cineasta sovietico. Altrimenti detto, lo spettatore crea legami tra le inquadrature, in modo spontaneo.
Ciò che oggi definiamo "effetto Kulešov" è la grande influenza che ha il montaggio sul senso complessivo di un racconto per immagini, la sua capacità di influire sulla percezione dello spettatore.
Veniamo, dunque, al montaggio parallelo, quello che avvicina e intreccia due o più scene che si ripetono alternativamente e che si svolgono in spazi e tempi diversi. Possiamo definirlo il montaggio simbolico per eccellenza, per la sua straordinaria capacità di originare significati complessi, attraverso l’accostamento di immagini.
La storia del cinema ci ha regalato grandi esempi della potenza espressiva di questo strumento. Ne abbiamo scelti sette, tratti da pellicole rimaste nella storia.
Un film interamente costruito in montaggio parallelo. In risposta alle accuse di razzismo ricevute per "Nascita di una nazione", Griffith dà vita ad una monumentale messa in scena dell’intolleranza nei secoli, per denunciarne l’atrocità. Quattro racconti, ambientati in epoche diverse, presentati separatamente e poi alternati in modo sempre più frenetico. Fa da raccordo la scena di una madre che dondola una culla illuminata da un raggio, scena che compare ben 26 volte.
L’intolleranza come male supremo, il carattere immutabile del tempo. Un montaggio parallelo a cui la storia del cinema deve moltissimo.
Nel tessuto narrativo si insinuano sequenze estranee al racconto e il "montaggio delle attrazioni", come lo definiva Ėjzenštejn, è servito.
Avviene nella celebre sequenza della "mattanza" degli operai in rivolta. La loro repressione si alterna alle immagini di un bue che viene sgozzato. Il parallelismo tra il bue sfruttato e poi macellato e gli operai è immediato e arriva senza filtri.
La sequenza che ci interessa è famosissima, è quella del battesimo del neonato Michael, il figlio di Carlo e Connie, in prossimità della conclusione del film.
Mentre il "padrino" Michael Corleone giura di rinunciare a Satana accanto alla fonte battesimale, avviene una sanguinaria resa dei conti che porta all’eliminazione di tutti i nemici del nuovo boss.
Una formula che Coppola utilizzerà con successo in tutti i capitoli della trilogia.
Ancora Coppola, ancora un montaggio parallelo memorabile.
Siamo all’inizio del film, in una camera d’albergo di Saigon il capitano Benjamin L. Willard (Martin Sheen) sta smaltendo la "sbornia" di terrore e sensi di colpa provati durante la guerra del Vietnam. Sul suo primo piano sono sovrimpresse immagini al rallentatore; in un angolo in alto a sinistra il ventilatore della stanza introduce simbolicamente il ruotare delle pale di un elicottero, protagonista del Vietnam raccontato da Coppola. Sintesi visiva e sonora, grazie alla musica di The End dei Doors, che si fonde al rumore rallentato, distorto e confuso delle pale di elicotteri e ventilatore.
Tutta la sequenza è trattata come fosse un incubo ad occhi aperti, anche grazie ad un serrato montaggio parallelo.
La sequenza del matrimonio ebraico è un pugno nello stomaco. Alla festa si alternano le immagini di Schindler, intento a trascorrere una serata all’insegna del divertimento, e quelle della violenza che si sta compiendo in uno scantinato. Mentre si rompono bicchieri e si scambiano baci, Amon Göth, simbolo della dilagante e inafferrabile atrocità nazista, scarica tutta la sua rabbia sulla giovane ebrea Helena. Assonanze visive e sonore, un parallelismo sempre più concitato e la follia dell’Olocausto.
Oscar al miglior montaggio, anche grazie ad una potente sequenza di montaggio parallelo. Siamo nei pressi del disperato attacco di Faramir, che pur di compiacere il vecchio padre tenta di riprendere Osgiliath. Qui si alternano immagini di cavalli in carica a preparativi di difesa, ma anche i primi piani, sempre più ravvicinati, della bocca di Daneth da cui colano bave rosse, anticipatrici della disfatta, e di Pipino mentre canta una canzone struggente.
Citazione-omaggio, forse, ai tanti agguati messi in scena da Coppola. Il "Divo" Giulio Andreotti (Tony Servillo) assiste ad una gara ippica mentre si sta compiendo l’omicidio di Salvo Lima. Una doppia corsa, quella dei cavalli e quella di Lima, un raccordo di sguardi grazie al quale Andreotti resta sempre un semplice spettatore.
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