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24-06-2021
Il cinema moderno si fa iniziare dal neorealismo. La nostra top ten di film capolavoro.
Il cinema moderno si fa iniziare proprio da qui, dal neorealismo, da un movimento culturale che prese avvio in Italia a partire dal secondo dopoguerra e che contribuì a modificare profondamente il cinema a livello mondiale.
Pochi mezzi, storie episodiche e semplici, improvvisazione, utilizzo di attori non professionisti e di luoghi reali. Uno stile naturale e semplice, molto vicino al documentario, uno spiccato interesse per la collettività più che per il singolo individuo, per mettere al centro la storia recente, il finale aperto. Queste alcune delle caratteristiche di una corrente che si è sviluppata intorno al 1945 e che, sebbene si definisca conclusa intorno al 1951, non ha mai smesso di esercitare influenza e fascinazione nei registi a venire.
Di film capolavoro in una manciata di anni ne ha prodotti davvero tanti. Ne abbiamo scelti dieci, ma sono molti, decisamente molti di più.
Considerato il padre del neorealismo italiano, nel 1945 Roberto Rossellini realizza l’opera-simbolo di questa straordinaria corrente cinematografica. Prima pellicola di una trilogia (la trilogia della guerra antifascista) di cui fanno parte Paisà e Germania Anno Zero. Roma era stata liberata da due mesi quando Rossellini iniziò le riprese di quello che è considerato il primo film della Resistenza europea. Pochissimi mezzi, un linguaggio nuovo di zecca, l’urgenza di non far sbiadire l’orrore appena vissuto attraverso la storia corale di un gruppo di vite in un quartiere della Capitale durante l'occupazione nazi-fascista.
Grand Prix come Miglior Film al Festival di Cannes del ’46, due Nastri d’Argento e una candidatura all’Oscar (per la miglior sceneggiatura originale, firmata tra gli altri anche da Sergio Amidei e Federico Fellini). La capacità di immortalare l'immagine dell’occupazione tedesca di Roma e della Resistenza romana.
Ancora Roberto Rossellini, l’anno seguente. Attraverso sei episodi indipendenti l’uno dall’altro, il film rievoca l’avanzata delle truppe alleate in Italia, dalla Sicilia al Polesine, passando per Napoli, Roma, Firenze e per la cosiddetta Linea Gotica.
Una storia di rinascita in tempo reale, mentre la rinascita avveniva e mentre il nostro popolo ritrovava finalmente la sua dignità.
Un racconto in crescendo della partecipazione da parte degli italiani alla lotta contro il nazifascismo, capace di miscelare perfettamente documento storico a percorso umano.
La sceneggiatura originale (firmata da Rossellini, Sergio Amidei e Federico Fellini) venne candidata agli Oscar nel 1950.
La realtà nuda e cruda, senza finzioni né artifici, e il popolo prima di tutto.
Con Sciuscià anche Vittorio De Sica sposa il neorealismo e lo fa mettendo in scena una sceneggiatura di Cesare Zavattini.
Nella Napoli del dopoguerra, due giovani lustrascarpe, con la passione per l’equitazione, si ritrovano coinvolti in una rapina e finiscono in riformatorio, dove per la prima volta sperimentano inganno e vendetta…
Gli attori protagonisti finiscono per la prima volta sullo schermo, guidati sapientemente da De Sica. Come farà in seguito Francois Truffaut ne I 400 colpi, il film mette in scena l’infanzia, negata prima, perduta poi. Come nel miglior neorealismo dell’epoca, l’obiettivo è puntato sulla tragedia quotidiana, complicata dal dopoguerra.
Per la coppia De Sica/Zavattini è subito Oscar, quello al Miglior Film in lingua straniera.
Nella Roma del secondo dopoguerra, il disoccupato Antonio Ricci è alla ricerca disperata di un lavoro, ma per lavorare gli serve una bicicletta. Trovare quella che gli è stata rubata è come cercare un ago in un pagliaio; e se a questo si aggiunge la disperazione degli altri l’impresa risulta ancora più difficile.
Non la storia di un singolo uomo, quella di una società piuttosto, a cui il conflitto ha tolto ogni cosa. E un finale aperto, che meglio degli altri è in grado di raccontare una condizione che potrebbe non aver mai fine.
De Sica e Zavattini mettono ancora una volta insieme i loro talenti, confezionando un film modernissimo che ha l’obiettivo di mettere in scena la vita italiana dell’immediato dopoguerra.
Alla fredda accoglienza romana fece da contraltare quella parigina, che commosse il regista René Clair e ne decretò il successo mondiale.
Berlino, immediato dopoguerra. La città è un cumulo di macerie e Roberto Rossellini è pronto a chiudere la sua trilogia della guerra.
A soli dodici anni il suo Edmund Koehler porta sulle spalle la responsabilità di un’intera famiglia e un incontro sbagliato lo spingerà a prendere la decisione peggiore della sua vita…
Attori non professionisti, lunghe riprese in esterno, gente che appartiene al popolo e un forte senso morale di fondo. Consacrazione definitiva e internazionale di Rossellini, del neorealismo e di un tema ricorrente, quello dell’infanzia negata.
Al fanciullo protagonista non è concesso di essere bambino, conseguenza di una guerra atroce che ha tolto ai più ogni cosa.
Dal verismo al neorealismo, da "I Malavoglia" di Giovanni Verga a La terra trema di Luchino Visconti, che si reca in una frazione di Aci Castello, recluta gente del posto e porta sullo schermo il loro stile di vita.
Ancora una volta nell’ambito del neorealismo, l’obiettivo è rivolto ad un'Italia appena uscita dalla guerra, che tenta, nonostante tutto, di sopravvivere e riemergere.
Il film più comunista di Visconti punta il dito sul capitalismo che sfrutta la classe operaia e si aggiudica il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia.
Primo film di un ideale trittico della miseria, che il regista non portò mai a compimento.
Con un tono agrodolce, che in seguito sarà tratto dominante della commedia all’italiana, Luigi Zampa ci porta in Sicilia per raccontarci la storia di un impiegato comunale costretto ad indossare il distintivo di appartenenza al partito fascista per non perdere il lavoro. Ma, quando cade il fascismo e arrivano gli alleati…
Non diremo di più sulla trama di questo film straordinario, criticato dal partito comunista e adorato da Italo Calvino, che lo difese sulle pagine dell’Unità.
La satira sul comportamento degli italiani è già nell’aria, sebbene il film si collochi perfettamente nel filone neorealista.
Un'urgenza neorelista e uno sguardo al cinema d’oltreoceano. Pietro Germi contamina il realismo mettendo in scena un western ben prima di Sergio Leone.
Nelle sue mani la Sicilia diventa terra di frontiera, una frontiera in cui il concetto di legge è labile ed è necessario farsi giustizia da soli.
Un giovane magistrato di Palermo viene inviato in provincia di Enna e si ritrova costretto a combattere contro quotidiane ingiustizie ed illegalità. Oltre la mafia, c’è una realtà diffidente e omertosa…
Il primo western del secondo dopoguerra non è, ovviamente, un western, ma ne utilizza tutte le convenzioni. La comunità è isolata, gli sguardi sono fissi e le sfide sono infernali come quelle di John Ford.
La lezione del neorealismo e quella del grande cinema hollywoodiano, ancora una volta. Il cinema verità e il melodramma popolare.
Giuseppe De Sanctis non nasconde la sua macchina da presa e non sceglie un semplice pedinamento della realtà. Eppure, Riso amaro è film neorealista per tante ragioni. La denuncia sociale precorre i tempi e riguarda la condizione femminile, la tendenza militante osserva il popolo dal basso.
Siamo nel vercellese, in quelle risaie dove le mondine si accingono ogni anno a lavorare per un’intera stagione. Prima di partire, si ritrovano nel mezzo di una manifestazione di operai della Fiat, ma tra i manifestanti si nascondono anche due banditi, che per nascondersi si uniscono al gruppo di mondine…
Neorealismo di genere, con tanto di detection e di amore criminale.
Nel cast, tutto strepitoso, spiccano Silvana Mangano e Vittorio Gassman.
Considerato una sorta di colpo di coda del neorealismo italiano, Umberto D racconta la storia di Umberto Domenico Ferrari (l’attore non professionista Carlo Battisti), anziano pensionato che fatica a pagare l’affitto e rischia di essere sfrattato…
Vittorio De Sica e Cesare Zavattini restano fedeli alla poetica dell’inseguimento – tipicamente zavattiniana. Pedinano il protagonista nel suo isolamento, incedendo sui particolari. Una serie di quadri che, all’ultimo, esplodono nel finale.
Nonostante gli incassi (che non coprirono la metà dei costi), Umberto D resta un film modernissimo, in grado di ritrarre la solitudine e l’impotenza della terza età in modo così universale e potente da farne un film incapace di invecchiare.
Un dramma sociale che De Sica e Zavattini avrebbero tranquillamente potuto scrivere oggi perché le cose, in fondo, non sono tanto cambiate e perché loro le mettono in scena con grande attualità.
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