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15-11-2021
La nostra top ten delle più belle scene di film.
Una singola scena talvolta può bastare per far entrare un film nella storia. Si imprime nell’immaginario collettivo per restare, fino a farsi mito.
Dagli albori ai giorni nostri, anche merito di quelle enormi casse di risonanza che sono i media, centinaia scene di film sono diventate memorabili. Sceglierne dieci non è semplicissimo. Questa la nostra personale playlist.
L'Arrivée d'un train en gare de La Ciotat (August e Louis Lumiere, 1896)
Contrariamente a quanto riportato da molte fonti, L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat non fu proiettato il 28 dicembre del 1985, durante la prima proiezione pubblica al Salon Indien del Grand Cafè di Boulevard des Capucines a Parigi, bensì nel gennaio del 1896.
Eppure, per tutti rappresenta il primo film della storia del cinema.
Una stazione vuota e un facchino, che attraversa la banchina spingendo un carretto. Gente in fila che aspetta, poi all’orizzonte un punto nero che avanza verso lo spettatore. È un treno, che si appresta a occupare lo schermo. Le porte si aprono, alcuni passeggeri salgono, altri scendono. Tra loro c’è anche la signora Lumière con una mantellina scozzese, madre di quei fratelli a cui viene attribuita la nascita del cinema.
Le Voyage dans la lune (George Méliès, 1902)
Un razzo arriva conficcandosi direttamente nel suo occhio e la luna del mago Méliès diventa la più famosa della storia.
Poche frazioni di secondo, replicate, omaggiate, citate innumerevoli volte.
Un’immagine che è diventata sinonimo stesso di quello che chiamiamo cinema narrativo.
Resta nel complesso memorabile questo piccolo film delle origini. Il videoclip della canzone Tonight, Tonight degli Smashing Pumpkins prende ispirazione da questa pellicola; il videoclip di Heaven for Everyone dei Queen ne utilizza spezzoni. Per non parlare di cinema e tv, in memoria di quella luna, da Hugo Cabret di Martin Scorsese ai Simpson.
La corazzata Potëmkin (Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, 1925)
Siamo ad Odessa nel 1905. Sotto gli occhi di sua madre, un neonato precipita con la sua carrozzina lungo una scalinata che sembra non finire mai.
Una dilatazione temporale ottenuta attraverso un uso ridondante delle inquadrature. Nella celebre scena della carrozzina, essa è ripresa da vari punti di vista, inquadrata in tutti i suoi dettagli, e sembra non cadere mai, aumentando così l’angoscia dello spettatore.
Scena iconica, omaggiata e parodiata un po’ da tutti. Come dimenticare i commenti di Fantozzi. Come non apprezzare la scena-omaggio de Gli Intoccabili di Brian De Palma che ha il sapore del capolavoro.
King Kong (Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack, 1933)
C’era una volta un gorilla sull’Empire State Building, e nella nostra memoria ci sarà per sempre.
Quando all’inizio degli anni Trenta gli esploratori con la macchina da presa Cooper e Schoedsack realizzarono King Kong non potevano certo immaginare il destino di quel film. Due remake da Oscar, sequel e reebot a volontà. Un altro mostro famosissimo (Godzilla) nato per emulazione e citazioni omaggio a non finire.
Kong si arrampica fino all’estrema cima dell’Empire State Building, circondato da elicotteri che lo vogliono abbattere. E l’ottava meraviglia del mondo è servita.
Psyco (Alfred Hitchcock, 1960)
Probabilmente la scena più studiata dell’intera storia del cinema.
La protagonista Marion Crane entra nuda nella doccia e viene raggiunta da un numero impressionante di coltellate.
Sette giorni di lavorazione, 78 posizioni diverse della macchina da presa e una controfigura per Janet Leigh. 22 secondi di terrore puro, merito anche dell’accompagnamento sonoro firmato da Bernard Herrmann, che utilizzò archi così stridenti da ricordare grida umane.
Una scena che ha cambiato il cinema e violato più di un tabù. E che dire dell’inquadratura finale, dal tappo della doccia all’occhio di Marion ormai senza vita. Perfezione linguistica al servizio della narrazione.
La dolce vita (Federico Fellini, 1960)
"Marcello, come here. Hurry up!"
Parole intramontabili, pronunciate in una notte di inverno da Anita Ekberg ad un Marcello Mastroianni completamente ubriaco.
La donna è bellissima e fa il bagno nella Fontana di Trevi, la scena destinata a vivere in eterno.
Riproposta, citata, omaggiata centinaia di volte. La guardano in un televisore di una camera d’albergo di Tokyo i protagonisti di Lost in Translation; si trova nel mezzo di quel set Nino Manfredi in C’eravamo tanto amati.
Persino Fellini la ripropone in Intervista e quando pensi a Roma questa scena torna sempre alla memoria.
Shining (Stanley Kubrick, 1980)
"Cappuccetto Rosso! Cappuccetto Rosso! Su apri la porta. Non ha sentito il mio toc toc?"
E chi se la dimentica una scena così, con Jack Torrance munito di ascia alle prese con il tentato assassinio di Wendy.
Chiusa all’interno di un bagno dell’Overlook Hotel, la moglie di Jack vive un terrore condiviso, mentre l’ascia fa a pezzi la porta che la separa dal mostro.
Per girare questa scena capolavoro ci vollero tre giorni e circa sessanta porte diverse. E ogni volta che la guardi ti senti come Cappuccetto Rosso nel bosco, alle prese con il peggiore tra i lupi cattivi.
Blade Runner (Ridley Scott, 1982)
"Ho viste cose che voi umani non potreste immaginare. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire".
Siamo alla fine di Blade Runner e il monologo pronunciato sotto una pioggia battente dal replicante Rutger Hauer fa il giro del mondo.
Scena mai dimenticata e parole entrate nell’immaginario collettivo.
Pulp Fiction (Quantin Tarantino, 1994)
Scena di culto di un instant cult movie. Uma Thurman e John Travolta (Mia Wallace e Vincent Vega) ballano sulle note di You can never can tell di Chuck Berry durante una sfrenata gara di ballo.
La scena è di quelle che non si dimenticano, la coreografia è di John Travolta.
Non un semplice vezzo artistico, piuttosto l’ennesima citazione. La scena è infatti un omaggio alla sequenza di ballo di 8 e Mezzo di Federico Fellini a cui assiste un annoiato Marcello Mastroianni.
Schindler’s List (Steven Spielberg, 1993)
Confusione e grida, colpi di fucile e lacrime.
Un bianco e nero quasi sbiadito per riportarci indietro nel tempo.
E poi, una macchia di colore, il colore rosso, quello di un cappottino indossato da una bambina nel bel mezzo della tragedia.
La prima scena che ti viene in mente quando pensi a Schindler’s List è questa, potentissima perché simbolo di speranza.
Una visione che scuote le nostre coscienze, e quella di Oskar Schindler, naturalmente, che in quel momento prende la decisione di opporsi a quell’orrore.
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