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11-10-2019
Ecco 8 tecniche di ripresa che un giovane regista non può non conoscere.
I grandi autori sono stati in grado di trasformare una semplice inquadratura o un consueto movimento di macchina in qualcosa di fortemente evocativo, dunque cinematografico. La loro lezione è sotto gli occhi di tutti, è tecnica al servizio della narrazione, risultato dell’applicazione di principi quasi scientifici che ogni filmmaker può applicare e fare propri.
A lezione dagli autori, ecco otto tecniche di ripresa che un giovane regista non può non conoscere.
Deve il suo nome ad Alfred Hitchcock, che utilizzo per la prima volta questa tecnica di ripresa ne "La donna che visse due volte" (1959), per creare il senso di vertigine di James Steward, l’acrofobico protagonista. Uno zoom in avanti e una carrellata indietro o uno zoom all’indietro e una carrellata in avanti, come ne "Lo squalo" di Steven Spielberg. Il capo della polizia Martin Brody (Roy Scheider) è sulla spiaggia affollata e osserva con apprensione i bagnanti, quando un grido concretizza la sua paura e scatena un potente dolly zoom sul suo volto.
Tra le preferite da Brian De Palma, questa tecnica di ripresa consiste in un giro di 360 gradi intorno al soggetto da riprendere. La macchina da presa circonda il soggetto come nel ballo di fine anno di "Carrie – Lo sguardo di Satana". E lo spettatore partecipa all’euforia dei protagonisti. Tecnica di ripresa tipicamente hitchcockiana, dunque amatissima anche dal suo discepolo De Palma.
Un movimento di macchina molto fluido che si ottiene attraverso la steadycam, telecamera montata con un sofisticato sistema sul corpo dell’operatore. Stanley Kubrick, con "Shining" (1980), fece conoscere al mondo i grandi effetti visivi generati da questa tecnica di ripresa: lunghi e fluidi movimenti nei saloni, nelle cucine e nei labirinti dell'Overlook Hotel.
Consiste in un'inquadratura di lunga durata. E’ un long take la scena in cui vediamo i personaggi passeggiare lungo gli Champs Elyséees nel film "Fino all’ultimo respiro"(1960) di Jean-Luc Godard. Una carrellata senza interruzioni che prima li segue e poi li precede, nel tentativo di offrire allo spettatore un maggior senso di realtà.
Il long take è una ripresa senza stacchi, anche piuttosto lunga, ma non va confusa con il piano sequenza. Da "Nodo alla gola" (1948) di Alfred Hitchcock al recente "Birdman" di Alejandro Iñárritu, passando per la sequenza iniziale de "L’infernale Quinlan" (1958) di Orson Welles, il piano sequenza è una sequenza senza stacchi. Insomma, gli orologi degli spettatori e quelli dei personaggi avanzano all’unisono.
Due tipiche inquadrature tarantiniane. Si tratta di due soggettive "impossibili", sguardo di persone spesso morte o svenute. Il trunk shot non è altro che un'inquadratura dall’interno del bagagliaio di un'auto, solitamente dal basso verso l'alto. Personaggi e situazioni vengono riprese dall'interno di un cofano, dove spesso sono ostaggi in soggettiva a guardare la scena. Il corpse view è invece un'inquadratura che riprende la scena dalla prospettiva di un corpo a terra, come quando in "Kill Bill 2" (2004), Budd guarda la Sposa prima di seppellirla.
Tratto distintivo di un cinema volutamente esagerato come quello di Baz Luhrmann. Un'orgia di luci, colori e musiche e di zoomate che rapidissime si allontanano e si avvicinano. Inaspettate e d'impatto, lontane da un qualsiasi desiderio di realismo, velocissime anche sui primi piani. Come quelle presenti in "Moulin Rouge", zoomate e stacchi per imprimere un ritmo convulso alla narrazione.
Le carrellate lunghissime sono uno dei tratti distintivi del cinema barocco di Paolo Sorrentino. Un cinema che rifiuta una poetica realistica, esibendo invece la presenza della macchina da presa in un gioco meta-linguistico. D'altronde, tra i suoi miti c’è Martin Scorsese, padre di un cinema che ha dato enorme importanza alla musica e all'utilizzo di carrellate lunghe, come quella del finale di "Fuori orario". Meravigliosa e infinita carrellata sul protagonista, tornato in ufficio dopo una folle notte insonne.
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