il nostro blog
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25-11-2020
Intervista di Cristina Borsatti.
Cinema verticale. Formato nove/sedicesimi. Perfetto per il web e per i nuovi device. Il cinema ai tempi dello smartphone è una cosa seria, offre incredibili opportunità ed è ancora tutto da inventare.
Ne abbiamo parlato con lo sceneggiatore e regista Francesco Colangelo, docente di Regia all’Accademia Griffith e esperto di verticalità al cinema.
Tanto per cominciare, circa 4 anni fa grazie ad un’idea di Salvatore Marino, celebre attore e comico televisivo, in Italia è nato il primo festival nel mondo dedicato al cinema verticale. Da allora, tu sei il Coordinatore e selezionatore di tutta la parte video. Ti va di parlarci della tua esperienza al Vertical Movie Festival?
Salvatore Marino, ideatore e Direttore artistico del festival, mi ha coinvolto in un progetto assolutamente innovativo, Vertical Movie è stato il primo festival di questo genere, ora ce ne sono tanti altri sparsi nel mondo e in molti festival tradizionali esistono sezioni verticali. Mi occupo della selezione dei video e ho avuto modo di studiare da vicino questo nuovo modo di fare cinema. Pensa che, da una ricerca di mercato, circa l’80% dei video postati sul web sono stati girati in questo nuovo formato. Una scelta istintiva che oggi cerchiamo di utilizzare artisticamente e con maggiore consapevolezza.
Insomma, il pubblico ha cambiato prospettiva?
Pare di sì. Guarda continuamente immagini da questa prospettiva, perfetta per il web. Si tratta della prospettiva che ci offrono più comodamente i nostri cellulari.
Si è cominciato a fare buon cinema e buona televisione anche in questo formato. Quali sono le peculiarità del cinema verticale?
Diciamo subito che il cinema orizzontale, quello di sempre, è inclusivo. Al contrario, quello verticale è escludente: un primo piano riempie lo schermo ed esclude tutto il resto. Si tratta di un formato che mette, letteralmente, al centro la figura umana, la stacca dal contesto. Nel cinema tradizionale c’è sempre così tanto spazio, a destra e a sinistra. Nel cinema verticale non c’è un limite terreno, un orizzonte. C’è solo l’uomo, o la donna naturalmente. Una sorta di nuovo umanesimo. Un uomo o una donna soli, in una condizione di solitudine, simile a quella di chi guarda i video su internet.
Anche le sceneggiature devono essere scritte in maniera diversa?
Assolutamente. Puoi entrare più facilmente nella mente dei personaggi e non ci sono inquadrature che li mettono in relazione. Perciò la scrittura deve dare il tempo ai personaggi di relazionarsi tra loro. Quando scrivi un film verticale devi rinunciare al contorno, ma hai molto più spazio sopra e sotto. Uno spazio metaforico, qualcosa che va oltre il personaggio. Come a dire che il cinema orizzontale crea legami fisici, quello verticale metafisici.
La definizione 9/16 si deve a voi del Vertical Movie Festival. 9/16 e 4 punti di campo… è così?
Esattamente un 16/9 rovesciato, e al campo e controcampo che, ad esempio, si utilizza per far dialogare due personaggi, il cinema verticale preferisce 2 punti di campo e 2 di controcampo, alto e basso campo e alto e basso controcampo.
Una tecnica di ripresa nuova di zecca, deve essere emozionante per voi registi…
Quando l’ho scoperta mi sono sentito come quando a 17 anni ho scoperto il linguaggio cinematografico. Mi sento di dare un consiglio ai giovani desiderosi di misurarsi con questo formato. Sperimentate, perché si tratta di un linguaggio nuovo di cui sappiamo ancora poco. È elettrizzante.
Ci sono già lungometraggi realizzati in questo formato?
Tanti video e corti, perché è un formato che ama brevità e velocità. È stato realizzato anche un mediometraggio in Francia, ma il vero problema sono le sale. I cinema non sono ancora preparati, i loro schermi sono orizzontali e il cinema in 9/16 ha bisogno di schermi verticali.
Alla prima edizione del Vertical Movie lo schermo era alto 10 metri e a guardarlo c’era anche Peter Greenaway…
Proprio così, uno schermo verticale altissimo a Piazza del Popolo. E Greenaway disse una cosa interessantissima, e cioè che gli uomini per anni hanno realizzato la loro arte in formato orizzontale, per poi guardarla dalle loro finestre, dunque in formato verticale. Aveva proprio ragione.
Con Peter Greenaway hai realizzato un progetto in questo formato. Di cosa si tratta?
Si tratta di un film ad episodi, io e Peter siamo solo due dei registi coinvolti. Si chiama "Verticality. Stand Up for Democracy", parla di quanto sia stata schiacciata la democrazia nel mondo moderno. Ci stiamo lavorando.
È un progetto parzialmente verticale anche il tuo ultimo lavoro, un altro film internazionale e ad episodi che si intitola "Selfiemania". L’episodio che hai diretto in Russia con Caterina Murino si chiama "Temper Tantrum". Come è andata?
L’ho girato per circa il 30% con il cellulare, dunque in formato verticale. D’altronde il film si prestava, i suoi cinque episodi raccontano storie legate alla mania dei selfie e incentrate sullo spasmodico uso dello smartphone. Moda e ossessione capace di cambiare la società. Ma anche in grado di regalarci un nuovo modo di realizzare storie per immagini, un modo verticale, appunto.
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